di Andrea Tomasi
Alcune premesse per inquadrare il discorso.
A) La tecnologia digitale è AMBIGUA (cfr. Caritas in Veritate n. 70) e continuamente mutevole. Costituisce ormai un vero e proprio “ambiente” in cui siamo immersi, che può cambiare il concetto stesso di persona umana. Non può più essere considerata uno strumento neutro, ma ha caratteristiche di ambiguità: la rivista Time qualche anno fa ha nominato il personal computer “uomo dell’anno”, recentemente è stato proposto di conferire a Internet il premio Nobel per la pace. L’ambiguità si annida nel rapporto strumento-uomo: cambia il concetto di uomo e cambia la natura della comunicazione; conseguentemente anche la natura dei tradizionali rapporti educativi.
B) Si confrontano due visioni: quella di chi ritiene che l’accesso alla rete debba rientrare tra i diritti umani fondamentali, e chi pensa che la rete non sia la cosa più importante, tanto che se ne possa fare anche a meno (recente intervista a Bill Gates, fondatore di Microsoft).
C) La rete divide l’umanità in due parti: chi la possiede e chi non la possiede. Divide inoltre tra loro le generazioni, divide le zone urbanizzate dalle zone agricole… L’uso delle tecnologie digitali dipende dalla capacità di usarle: questa instaura una soglia culturale, separando chi è sopra da chi è sotto tale soglia. La quale non solo è legata a competenze tecniche, ma determina anche un diverso approccio culturale. Si parla di DIGITAL DIVIDE, per suggerire investimenti in tecnologia tali da modernizzare i vari Paesi e superare “l’ignoranza digitale”, ma studi ben noti tra gli studiosi di innovazione e tecnologie affermano che esiste una “soglia culturale” per utilizzare gli strumenti tecnologici, sotto la quale non si riesce ad avvalersene. Qunidi il problema non è solo economico, o di competenze tecniche, ma in primo luogo eminentemente culturale. Si vedano al proposito i dati riportati da Economist sulla correlazione tra diffusione di Internet, la creatività economica, la capacità tecnologica e la competitività globale, con esiti sorprendenti: secondo l’Economist per la diffusione di internet in testa sono gli Stati Uniti, seguiti dal Giappone, per capacità tecnologica in testa è la Svezia seguita dagli Stati Uniti, mentre il Giappone è al decimo posto. L’influsso sull’economia è rilevante, ma non determinante: non è internet che determina l’economia di un paese, ma altri fattori. .
D) Non bisogna confondere capacità operativa e competenza tecnica. La definizione di nativi digitali non è adeguata, perché il sistema digitale diventa sempre più chiuso, in quanto offre oggetti preconfezionati, tali da creare “polli di batteria” piuttosto che “nativi digitali” (secondo il parere di Paolo Attivissimo, un esperto della rete, citando una ricerca di Milano Bicocca); esso non porta a competenze tecniche adeguate: infatti non bisogna confondere la capacità operativa con la competenza.
L’uso della tecnologia presuppone un’etica e l’etica si acquisisce con l’educazione: bisogna quindi educare all’uso della tecnologia. In conclusione, affrontare i temi dello sviluppo tecnologico richiede cultura ed etica, quindi chiama in causa in primo luogo l’ educazione.
1. EDUCARE NELLA, ALLA, CON LA TECNOLOGIA.
A) Educare nella tecnologia. Il primo problema riguarda il fatto che la rete è segmentata in tanti gruppi di utenti, con interessi, cultura, valori di riferimento diversi. L’ambiente creato dalla rete non è rappresentativo del nostro mondo reale: internet è un insieme di piazze; per la rete non esistono confini. Non si distinguono più posti buoni e posti cattivi. La rete presenta identità fasulle ed evidenti rischiosità.
B) Educare alla tecnologia. Nondimeno i vantaggi della rete sono evidenti e sotto gli occhi di tutti; ma presuppongono un’educazione che è la somma di competenze tecniche e di discernimento. Occorre sviluppare un sano spirito critico.
C) Educare con la tecnologia. Il primo problema da tener presente è il linguaggio della rete. La rete ha determinato un nuovo modo di esprimersi e ha notevoli implicazioni semantiche. Però bisogna tener sempre presente che il messaggio è costituito dal contenuto e non dallo strumento di comunicazione. Si pone quindi un problema educativo, tenendo presente che il pacchetto complessivo offerto dalla rete è maggiore e diverso rispetto alla somma degli strumenti adoperati. Vi è il rischio evidente di non percepire il discorso complessivo e di limitarsi a guardare le cose al di fuori. Il secondo problema è il tipo di relazione educativa che si può stabilire attraverso la rete o con gli strumenti digitali.
Quali sono le realtà educative che possono collaborare, a quali sostegni educativi ci si può affidare ?
2. A CHE PUNTO SONO I GENITORI
La famiglia è indifesa: i genitori non possono fare riferimento alle loro esperienze adolescenziali, quando la rete ancora non esisteva; essi navigano a vista: il 48 % dei genitori non conosce i siti visitati dai figli; il 40 % dei ragazzi visita siti non adatti; il 26 % presenta proprie fotografie in condizioni non adatte; il 12 % incontra persone conosciute on line; l’84 % dei ragazzi usa false identità.
3. SIAMO IN PRESENZA DI UN “MUTAMENTO ANTROPOLOGICO” ?
Chiediamoci se si stia verificando un mutamento antropologico. L’esibizionismo dei ragazzi ha un intento estetico: essi imboccano una scorciatoia per essere giustificati nel proprio io. E’ reale il rischio di una ricerca di identità priva di valori.
Vi è un cambiamento profondo nelle modalità di comunicazione; si evidenzia una difficoltà di fissare l’attenzione; viene indotto un mutamento di comportamenti sociali; i ragazzi usano strumenti che non allenano la memoria; tutte le opinioni risultano sullo stesso piano; le competenze vengono banalizzate; si instaura un relativismo nei giudizi.
In ambito sociale vi è il rischio di utilizzare la rete per manipolare il consenso.
4. LA RISPOSTA DEGLI OPERATORI
Si tende a identificare la comunicazione, in qualsiasi forma, come strumento di conoscenza. Predomina una risposta di tipo libertario: conoscere è comunque una cosa buona; per cui ogni comunicazione deve essere libera secondo il principio della libertà di espressione: le piazze si allargano senza sorveglianza. Anche il fenomeno dell’acquisizione illegale (“pirata”) in rete di contenuti protetti da copyright viene giustificata con la stessa logica.
La conoscenza è mediata dallo strumento (dal “filtro” dei motori di ricerca, dalle voci costruite su Wikipedia). Si diffonde la convinzione che la verità delle cose dipenda dal consenso.
Di fronte a questa situazione bisogna trovare un equilibrio: bisogna tener presente che internet è uno strumento di conoscenza, a cui c’è il rischio di affidarsi completamente, senza spirito critico.
5. LA RISPOSTA DELLA SCUOLA
Non sono un pedagogista, e vivo l’ambiente scolastico in modo indiretto, attraverso i miei figli e con il confronto ogni anno con gli studenti del primo anno di università, ma per quanto detto, credo che l’impegno di formare persone “capaci di pensare”, allenate allo spirito critico, al ragionamento, sia un contributo essenziale per aiutare a vivere nel mondo tecnologico e globalizzato in cui viviamo.
E’ necessario uno sforzo educativo per abituare ad un uso corretto e critico delle tecnologie digitali. Occorre un grande senso di responsabilità. Sotto questo aspetto la scuola ha una grande funzione. Certamente occorrono attrezzature adeguate, ma soprattutto docenti consapevoli e preparati. Vi è un compito educativo, che deve accompagnarsi alla preparazione tecnica.