Per la comunità dei credenti è sempre più importante saper comunicare la fede anche nei contesti digitali. Alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona è stata celebrata una messa ed è stato organizzato un festival per chi, nei social media, con vari linguaggi, si impegna ad annunciare il Vangelo.
A Mons. Lucio Adrian Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione, a margine di questi eventi abbiamo chiesto perché sia così importante che la Chiesa lavori su questo fronte.
«Dove sta l’uomo là deve stare la Chiesa», conferma mons. Ruiz, «oggi la nostra cultura ci fa vedere quanto la vita reale e la vita digitale siano una sola realtà. Nel digitale scambiamo pensieri, affetti, la presenza, ma in questo mondo anche si compra, si vende, si sta, si interagisce, si lavora, si studia, si ricerca. L’uomo di oggi, quindi, è così: un po’ nella presenza e un po’ nella virtualità. La Chiesa, come madre e maestra, non può non raggiungere tanta gente che non ci ascolta e non ci conosce, e quindi come dice Papa Francesco dobbiamo essere una Chiesa in uscita, per andare a raggiungere la gente dovunque essa si trovi, dovunque cerchi una speranza».
Cosa può fare la Chiesa come istituzione per accompagnare chi nei social media annuncia il Vangelo?
«Io penso che gli “influencer” funzionino in quanto testimoni di un amore e di una missione. Quando conosci Gesù, e quindi come i discepoli dicevano “non possiamo tacere quello che abbiamo visto e udito”, allora non puoi non trasmettere quell’esperienza in Gesù. Queste persone trasmettono quell’amore e quella pienezza che hanno nel cuore con il linguaggio e i tempi di questa cultura».
Come si “incultura” la fede nel continente digitale?
«Come sempre ha fatto la Chiesa. Prima imparando la cultura. Noi abbiamo il messaggio, il kerygma, l’annuncio di Cristo che cambia la storia. Ma il linguaggio si impara, si impara guardando, si impara ascoltando. Questo è quello che sempre ci ha chiesto il Magistero: agire nella cultura imparando».