Social e Bugie: Dal pettegolezzo alle Fake News – prima parte
di Andrea Tomasi
Facebook nasce in un campus universitario per diffondere pettegolezzi. Poi diventa un potente e diffusissimo strumento di comunicazione. Le persone sono talmente connesse tra loro che i social diventano una versione tecnologica del “bar” di tanti anni fa, o del “muretto” su cui ci si poteva incontrare e stare ore intere solo per chiacchierare. “Giornate perdute a parlare di niente”, cantava Fabrizio De Andrè negli anni ’60. Mentre ora, stando alle statistiche, i contatti in rete avvengono a tutte le ore, anche di notte, grazie agli smartphone.
Ma quando dalle chiacchiere si passa al pettegolezzo, dal pettegolezzo alla maldicenza, dalla maldicenza alla calunnia, la rete mette in gioco tutte le sue potenzialità per fare alle persone il maggior danno possibile.
CYBERPETTEGOLEZZO E CYBERBULLISMO
Papa Francesco ripete frequentemente, nelle omelie a S. Marta o all’Angelus, negli incontri con la Curia o agli operatori della comunicazione, che “non ci sono maldicenze innocenti”, e che “la calunnia uccide”, richiamando un atteggiamento di rispetto per le persone che è ben presente nel Catechismo della Chiesa Cattolica (in particolare nella sezione dedicata all’ ottavo comandamento: nn. 2477-2479; 2488-2489; 2492).
E la saggezza dei proverbi popolari ricorda che “ne uccide più la lingua che la spada”. Papa Francesco ha usato al proposito un linguaggio molto diretto: “se parli male del fratello uccidi il fratello” (S. Marta, 13 settembre 2013).
Ma al confronto con “la spada” delle parole, le armi di cui si dispone in rete sono ordigni nucleari.
Per rendersene conto, basti pensare soltanto all’effetto di diffusione istantanea ed estesa che si ottiene mettendo un testo o un commento su una pagina social. Tanto che non solo le maldicenze o le calunnie, che falsano la verità, ma anche i pettegolezzi, cioè la diffusione di verità che meriterebbero riservatezza per rispetto alle persone coinvolte, possono diventare in rete un atto di bullismo con esiti disastrosi. Un film canadese per la tv, “Cyberbully” (2011), nella versione italiana è stato intitolato “Pettegolezzi on line” e illustra bene una tale possibile situazione: i pettegolezzi diffusi in rete da una amica e il clima di derisione che producono portano la protagonista all’esasperazione fino a tentare il suicidio.
E’ tristemente vero che chi usa la rete come megafono spesso non si rende conto dell’impatto che ciò può avere. Molti (le statistiche dicono addirittura 8 su 10) pensano che non essendoci una aggressione fisica non c’è danno, o quanto meno non c’è colpa grave. Tanto che la condivisione di pettegolezzi e maldicenze può diventare virale anche per la scarsa consapevolezza di chi si fa ripetitore. Ma la vittima in tal modo si sente schiacciata e continuamente osservata, in uno stato di imbarazzo e di precarietà psicologica, che in molti casi sfocia in tentativi di suicidio.
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