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Storie da raccontare

Una rete per tutti? Non per intrappolare, ma per liberare

Storie da raccontare

15 Aprile 2019
Una rete per tutti? Non per intrappolare, ma per liberare

La terza storia che abbiamo deciso di raccontare è un libro.

Una rete per tutti? Questa la domanda che fa capolino sulla copertina del nuovo libro di Andrea Tomasi, docente dell’Università di Pisa e membro del Consiglio di Weca. Una bella domanda presente lungo tutto il volume che, lo anticipiamo, più che fornire risposte (operazione poco utile in questa fase), apre gli sguardi e lancia molte questioni.

Proviamo a sintetizzarle, cercando di non rovinare la sorpresa di chi ancora non ha letto il libro, con una premessa. Il tema di quest’anno, in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, è lo sfondo di questo libro, almeno come cornice e sottotitolo: abitare la rete per trasformare le community in comunità: «“Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana».

Cosa ci ricorda Papa Francesco in questo Messaggio, così attuale e capace di cogliere il senso del presente?

In primis che la rete è fatta di persone e che deve essere abitata nel senso più profondo e umano, liberando e non intrappolando: “questa è la rete che vogliamo. Una rete non fatta per intrappolare, ma per liberare, per custodire una comunione di persone libere”. Ma anche che, alla luce del suo funzionamento, sono molte sia le opportunità, sia le sfide o gli elementi problematici attorno al nodo della comunità e delle community.

Ecco che Andrea Tomasi, attraverso una raccolta di saggi e commenti sul tema che dimostrano uno studio e un interesse che va oltre al momento contingente del Messaggio, ci suggerisce domande e riflessioni.

Che rapporto intercorre tra comunità e community? Sono alternative, antagoniste o piuttosto procedono insieme e si alimentano vicendevolmente? Che posto occupano le community nella vita di tutti noi, soprattutto dei ragazzi e dei giovani? Che peso hanno se pensiamo ai temi dell’identità, dell’identificazione in modelli predefiniti, della creatività e dell’omologazione?

Dice  a questo proposito, a pagina 15: “E il rischio maggiore diventa quello di diffondere conoscenze omologate e uniformate, risultanti dalla somma dei contributi dei singoli ma che non appartengono più a nessuno di essi”.

Cosa serve per fare il passo in avanti, per fare la differenza? Su questo Tomasi è chiaro e riconduce il tema al versante educativo e di accompagnamento, che consente di superare l’inganno dei nativi digitali (“non bisogna confondere capacità operativa e competenza”), sviluppando spirito critico e prevenendo un uso puramente “estetico” delle reti sociali. Il tema che entra in gioco è quello della riservatezza e del pudore, del valore della privacy, della reputazione e della fiducia (questi ultimi elementi sono fondativi della comunità, sono “ il collante essenziale”, secondo l’autore).

Ma allora, tornando al tema della comunità e delle community, in che relazione possono esistere? Certamente alcuni elementi della community sono in contrasto con la comunità cristiana, riflette Tomasi: la compressione dei tempi necessari per pensare e riflettere (siamo in un’epoca comunicativa del “tutto e subito” e dell’”always on”, siamo spesso incapaci di gestire le attese, di sostenere gli spazi interstiziali non occupati da attività fianlizzate), la prevalenza di opinioni individuali (tutti possono parlare al tempo degli smartphone, pensiamo al tema della disintermediazione), l’esasperazione dei toni e, soprattutto, il destino di omologazione di molte community dove tutti la pensano alla stessa maniera (le cosiddette “bolle”). Cosa ci aiuta? “La consapevolezza che (le community) non sostituiscono la vita comunitaria esercitata nella concretezza degli ambienti e degli incontri fisici”).

Non mancano consigli e suggerimenti (pensiamo alle pagine dedicate ai genitori), ma soprattutto la traduzione sul versante dei social delle opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi e insegnare agli ignoranti (quando condividono senza pensare, quando non riconoscono il senso della ricerca della verità), ma anche ammonire i peccatori evitando sia il silenzio, sia il moralismo, consolare gli afflitti e perdonare le offese (evitando il flaming e tanti altri comportamenti legati alla cyberstupidity) sono solo alcune delle analisi che chiudono il testo.

Buona lettura!

Alessandra Carenzio

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