Nell’ambito del grande tema della presenza digitale dei cattolici, su cui il Sinodo non solo si sta interrogando ma già sta attivando nuove forme di intervento, riflessione e ascolto, un tema importante è rappresentato dalla presenza degli haters, gli odiatori.
È un tema pratico, concreto, che interpella il senso della nostra missione digitale: fuggire di fronte a questa problematica sarebbe come fuggire dalla responsabilità dell’annuncio evangelico di fronte ad una qualche forma di opposizione. Entrare nel turbine della polemica al contrario potrebbe farci chiedere se in specifiche situazioni di violenza sia meglio “non esserci” proprio per esprimere il nostro rifuggire da certe dinamiche negative.
Quello degli haters è comunque un tema e un problema. Come affrontarlo?
È indubbio che la responsabilità dei comunicatori e di chi si pone in rete in una prospettiva seria di evangelizzazione (seria significa anche approfondita, supportata dalla scienza – non solo dalla conoscenza tecnologica) non può prescindere da un approccio “sapienziale”. Un approccio che si chieda – altrettanto concretamente di quanto si possa fare in ambito tecnico-scientifico – cosa sia essenziale, cosa ci sia alla base, alle fondamenta del nostro operare nella Chiesa come evangelizzatori digitali.
Andiamo perciò subito al dunque: di fronte alla “guerra dell’odiare” non può che porsi in opposizione positiva, l’”arte dell’amare”.
Questa sintetica espressione indica due prospettive. Da una parte attiene al metodo, ma soprattutto attiene al contenuto che diventa il fondamento, il punto di origine e partenza del metodo stesso.
Guerra dell’odio o arte dell’amore. Questa è la scelta. Da una parte la guerra che parte dalla semplificazione, che “esige” la semplificazione per potersi concentrare su un nemico che sia chiaramente di fronte a noi: reale o inventato, a volte creato ad arte, o indotto. Ma chiaramente nemico.
Dall’altra la pace, che è arte nel senso di opera da costruire: nel dettaglio, nella riflessione, nella complessità e nel dialogo, con un continuo lavoro di “cesello di amore”, di perdono, di coraggio.
Ma, come dicevamo, più che questione di metodo il tema è questione di contenuto.
L’arte dell’amore parte dall’Amore: l’azione dell’amare, la responsabilità dell’amare, è sempre originata da chi l’Amore ci dona non come oggetto di nostra proprietà ma come dono da condividere. Non siamo chiamati ad amare…ma a condividere l’Amore a noi donato.
E che non sia proprio questo l’esercizio (permettetemi questa parola) che l’evangelizzatore digitale deve compiere prima ancora di chiedersi cosa comunicare o come comunicarlo nella Rete?
Credo che questo sia il primo esercizio: attingere alla fonte dell’amore, per poter riempirne il nostro cuore e poter così cimentarsi nella bellezza complessa dell’arte dell’amare (anche in rete).
La Chiesa ci offre molte palestre per poter fare questo esercizio: i sacramenti vissuti e “fatti carne” nelle nostre scelte quotidiane di carità, l’Adorazione eucaristica come stare “di fronte” al Signore che ci interpella con la sua presenza sempre “disturbante” e sempre “inviante”.
L’arte di amare che è la cifra della presenza evangelica nei media digitali, non può prescindere da un forte ancoraggio ai sacramenti e da una altrettanto e concreta vita sacramentale. Mai dobbiamo dimenticarci che senza la fonte non possiamo riempire le nostre bottiglie! Che senza essere pieni del Signore non abbiamo nulla da portare agli altri che noi stessi, con la nostra piccolezza sterile (anche se a volte appariscente).
Da qui – da una profonda e concreta esperienza di fede e di preghiera – occorre ripartire per riempirci di quell’amore che solo può sconfiggere l’odio.
Testi: don Paolo Padrini